manifesto dell'abitare
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Quartiere
Quartiere

… ed ordinata in pria
l’umana compagnia
tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce.

Giacomo Leopardi

… ed ordinata in pria
l’umana compagnia
tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce.

Giacomo Leopardi

Per secoli la separazione fra vita pubblica e privata è stata rimarcata dall’appartenenza a luoghi ben distinti: lo spazio urbano per la prima, la casa per la seconda.

Nell’epoca contemporanea, tuttavia, la distinzione è molto meno definita: alcune caratteristiche della casa iniziano ad apparire anche nei bar, negli uffici, nei musei, nelle piazze e persino negli edifici di passaggio, come aeroporti e stazioni. Il concetto di ‘domesticità’ si mescola a quello di ‘urbanicità’, in un intorno privato che non è mai completamente privato, ma che determina il principio di un cambiamento radicale nel modo di vivere il rapporto fra la casa e l’immediato esterno, il quartiere.

La pandemia l’ha ulteriormente dimostrato: l’essere umano è un animale sociale, che necessita non solo di relazioni, ma anche di momenti negli spazi comuni; la limitazione di questa possibilità può causare gravi conseguenze a livello psicologico e comportamentale. L’obbligo di stare in casa ha perciò nuovamente stravolto la nostra percezione. Se da un lato lo spazio domestico è tornato ad assumere il ruolo tradizionale di rifugio, dall’altro lato ha rivelato la sua inadeguatezza nel sostituirsi alla piazza, da sempre luogo della res publica e della vita sociale.

Ora più che mai appare quindi necessario riscoprire la dimensione del quartiere, ricominciare ad abitarlo. Una passeggiata di quindici minuti dovrebbe definire uno spazio senza barriere né architettoniche né culturali: un quartiere a misura di tutti, luogo di incontro e inclusione sociale in cui tutti sentono di appartenere a una comunità. Le architetture del futuro devono tenere conto di questa necessità di integrazione psicologica e strutturale, creando degli spazi di connessione tra gli edifici e con l’esterno, luoghi che coesistono in necessaria simbiosi fra loro e con lo spazio urbano, cosicché le soglie cessino di rappresentare delle barriere per trasformarsi in aperture, scambio fluido di energia.

Per secoli la separazione fra vita pubblica e privata è stata rimarcata dall’appartenenza a luoghi ben distinti: lo spazio urbano per la prima, la casa per la seconda.

Nell’epoca contemporanea, tuttavia, la distinzione è molto meno definita: alcune caratteristiche della casa iniziano ad apparire anche nei bar, negli uffici, nei musei, nelle piazze e persino negli edifici di passaggio, come aeroporti e stazioni. Il concetto di ‘domesticità’ si mescola a quello di ‘urbanicità’, in un intorno privato che non è mai completamente privato, ma che determina il principio di un cambiamento radicale nel modo di vivere il rapporto fra la casa e l’immediato esterno, il quartiere.

La pandemia l’ha ulteriormente dimostrato: l’essere umano è un animale sociale, che necessita non solo di relazioni, ma anche di momenti negli spazi comuni; la limitazione di questa possibilità può causare gravi conseguenze a livello psicologico e comportamentale. L’obbligo di stare in casa ha perciò nuovamente stravolto la nostra percezione. Se da un lato lo spazio domestico è tornato ad assumere il ruolo tradizionale di rifugio, dall’altro lato ha rivelato la sua inadeguatezza nel sostituirsi alla piazza, da sempre luogo della res publica e della vita sociale.

Ora più che mai appare quindi necessario riscoprire la dimensione del quartiere, ricominciare ad abitarlo. Una passeggiata di quindici minuti dovrebbe definire uno spazio senza barriere né architettoniche né culturali: un quartiere a misura di tutti, luogo di incontro e inclusione sociale in cui tutti sentono di appartenere a una comunità. Le architetture del futuro devono tenere conto di questa necessità di integrazione psicologica e strutturale, creando degli spazi di connessione tra gli edifici e con l’esterno, luoghi che coesistono in necessaria simbiosi fra loro e con lo spazio urbano, cosicché le soglie cessino di rappresentare delle barriere per trasformarsi in aperture, scambio fluido di energia.